L’intossicazione da paracetamolo rappresenta una delle principali cause di avvelenamento farmaceutico a livello mondiale, ed allo stesso modo in Italia. Secondo i dati del Sistema Nazionale di Allerta Precoce (SNAP), il paracetamolo è uno dei farmaci più frequentemente associati a intossicazioni accidentali o volontarie, soprattutto nei soggetti adulti e nei giovani; tale farmaco, largamente utilizzato per il trattamento di febbre e dolore, è disponibile senza prescrizione medica, contribuendo alla sua vasta diffusione e all’aumento del rischio di abuso. Inoltre, studi epidemiologici indicano che l’incidenza dell’intossicazione da paracetamolo è in crescita, con una stima di diverse migliaia di casi gestiti ogni anno nei dipartimenti di emergenza italiani.
Caratteristiche Farmacologiche del Paracetamolo
Il paracetamolo, noto anche come acetaminofene, è un farmaco analgesico e antipiretico ampiamente utilizzato a livello globale. Chimicamente, è un derivato della para-aminofenolo e agisce principalmente a livello del sistema nervoso centrale (SNC). La sua efficacia analgesica è attribuita alla inibizione della cicloossigenasi (COX), specificamente delle isoforme COX-2 e COX-3, inibendo la sintesi delle prostaglandine, mediatori dell’infiammazione e del dolore. Tuttavia, a differenza dei FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei), il paracetamolo non possiede un’attività anti-infiammatoria significativa, poiché la sua azione sembra essere limitata al SNC, senza influenzare le prostaglandine periferiche.
La somministrazione orale del paracetamolo comporta un assorbimento rapido e pressoché completo nel tratto gastrointestinale, con un picco plasmatico raggiunto in 30-60 minuti. Viene quindi metabolizzato principalmente nel fegato attraverso tre principali vie: glucuronazione, solfatazione e ossidazione. La via ossidativa, mediata dal citocromo P450, produce un metabolita reattivo, N-acetil-p-benzochinone imina (NAPQI), che è normalmente detossificato dal glutatione. Tuttavia, in situazioni di sovradosaggio, la capacità di detossificazione del glutatione viene superata, portando all’accumulo di NAPQI e conseguente danno epatico.
Effetti Tossici del Paracetamolo in Dosi Eccessive
La dose tossica di paracetamolo è variabile, ma generalmente si considera che un’assunzione superiore a 150 mg/kg in un singolo episodio possa essere potenzialmente letale. Il quadro clinico che ne deriva si sviluppa in quattro fasi distinte: nella prima fase (0-24 ore), i sintomi possono essere lievi e non specifici, includendo nausea, vomito, sudorazione e pallore. Durante la seconda fase (24-72 ore), si verifica un’apparente miglioramento clinico, ma i segni di danno epatico iniziano ad emergere, con aumento delle transaminasi epatiche, bilirubina e tempo di protrombina.
La terza fase (72-96 ore) è caratterizzata dal massimo danno epatico, con possibile sviluppo di encefalopatia epatica, coagulopatia, insufficienza renale acuta e acidosi metabolica. In assenza di trattamento, questa fase può evolvere in coma epatico e morte. La quarta fase (4-14 giorni) è quella di recupero, dove i pazienti sopravvissuti mostrano un miglioramento clinico graduale e la normalizzazione dei parametri epatici.
Il trattamento dell’intossicazione da paracetamolo deve essere tempestivo per prevenire danni epatici irreversibili. L’antidoto principale è l’N-acetilcisteina (NAC), che agisce come precursore del glutatione, incrementando la capacità di detossificazione del NAPQI. La somministrazione di NAC è più efficace se iniziata entro 8 ore dall’ingestione del paracetamolo, ma può comunque offrire benefici anche in fasi successive dell’intossicazione.
In aggiunta alla somministrazione di NAC, è essenziale il monitoraggio intensivo del soggetto, incluso il controllo dei livelli plasmatici di paracetamolo, test di funzionalità epatica e parametri di coagulazione. Nei casi più gravi, il trapianto di fegato può rappresentare l’unica opzione terapeutica salvavita.
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